Rileggendo le parole di Nouriel Roubini in un intervista rilasciata durante una visita in Italia agli inizi del 2008, ci rendiamo conto che erano un avviso, se pur tardivo, circa quanto sarebbe accaduto di lì a pochi mesi: "A questo punto una recessione negli Stati Uniti è inevitabile...Sono convinto che il resto del mondo non riesca a isolarsi...Dai rapporti commerciali, alla finanza, ai tassi di cambio fra le valute, all’impatto sulla fiducia: sono molti i canali di trasmissione che implicano un passaggio degli choc dall’America al resto del mondo...tutto indica che che la recessione negli Stati Uniti non sarà lieve ma severa. E la sofferenza si trasmetterà anche all’Europa e all’Asia."(1).
In seguito, gli stili di vita si sarebbero gradualmente, lentamente modificati - sospinti dai cambiamenti che avvenivano. Le modifiche non erano però determinate da una presa di coscienza della realtà economica bensì dalle onde che questa provocava.
Gli avvenimenti che stampa e televisione definivano "terremoti" per l'economia non hanno scosso le nostre tranquillità, poggiate sulla fiducia di un sistema economico che credevamo non avrebbe fallito e sulle dichiarazioni di economisti, banchieri e rappresentanti di governi.
Globalizzazione è diventata una parola conosciuta ma non compresa e, se è stato semplice per le persone nutrirsi di prodotti coltivati a migliaia di chilometri e per le imprese trarre profitti dal lavoro a basso costo, è ora invece difficile accettare sacrifici nella convinzione di pagare gli errori di qualcuno che opera dall'altra parte dell'oceano, senza la capacità di domandarci se questi errori sono anche errori nostri.
E quello che accade in questi giorni nei paesi medioorientali - così vicini a noi, ma così lontani dalla nostra cultura - sono una spinta a comprendere, a cercare di capirla, la globalizzazione.
(1) Nouriel Roubini - intervista di F. Fubini - Corriere della Sera - 21 gennaio 2008