lunedì 23 febbraio 2009

Il presente è spostato più in là di qualche ora...(da "Caro Festival" di Paolo Giordano)

Circa tredici milioni di italiani hanno seguito il Festival di Sanremo ma, come ha detto il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, altri quarantacinque milioni non lo hanno visto. Nel corso delle serate dell'edizione 2009, alcuni autori italiani hanno inviato un testo, sotto forma di lettera: quello di Paolo Giordano (autore del libro “La solitudine dei numeri primi”) “aggancia” sentimenti e situazioni di molte persone; lo propongo in questo post, nonostante il critico televisivo Aldo Grasso l'abbia definito un “temino di prima elementare”.
(Il testo della lettera non si trova sulla rete, l'ho trascritto ascoltando la bellissima lettura di Alessandro Haber).


Caro Festival,
è stato un inverno rigido qui, lento e faticoso come una convalescenza. L’ultima nevicata mi ha colto alla sprovvista, un mattino di qualche settimana fa. Sdraiato sul letto, le persiane ancora chiuse, ho pensato: “Ecco sta nevicando“. Si capiva dai rumori, dalla loro inusuale assenza. Sono uscito di casa presto, per ripulire la rampa dei garage. Il mio vicino Roberto mi aveva preceduto. "Buongiorno come stai?" Gli ho domandato. “Insomma…”. Non ci ho fatto caso, erano solo convenevoli. I fiocchi di neve asciutti restavano incollati alle maniche del giaccone. Osservandoli da vicino, potevi studiare le simmetrie dei cristalli, tutte simili e ognuna differente. “Il lavoro?” Roberto ha conficcato la pala più a fondo, spingendola con il tallone. Ha alzato le spalle e distolto lo sguardo, mentre io realizzavo di essere stato …incauto. Più volte nell’ultimo mese avevo sentito la sua voce in casa, anche al mattino. Ma Roberto fa il rappresentante, non ha orari fissi, capita che esca in pieno giorno, il maglione con la zip tirata su fino al mento, la valigetta priva di tracolla, la serratura della Station Wagon attivabile a distanza. E rientra quando io ho già finito di cenare. “Ma quindi sei…sei…” mi sono interrotto, perché la fine della frase suonava stonata, come una sgrammaticatura. “Sì “. Roberto ha rovesciato un altro mucchio di neve e quello si è disfatto, al suolo, come farina. Abbiamo continuato a spalare in silenzio, rivolgendoci le spalle.
Poi lui si è lasciato andare: “L’abbiamo chiamata così forte che alla fine è arrivata”. Ha detto. “Sai, non ci pensi davvero, finche non ti succede. E un giorno ti ritrovi a girare per casa senza nulla da combinare, come in un intralcio. Questa settimana ho sostituito tutte le piastrelle scheggiate della cucina, le romperei di nuovo pur di avere qualcosa da aggiustare. Da fuori non si può capire. E' come essere …malati”.
Quindi mi sono allontanato con l’automobile. Roberto stava ancora spalando per rendere agibile una rampa che quel giorno non doveva condurlo in alcun luogo.
Insomma, la crisi ci ha raggiunto fino a qui, fino al nostro impersonale condominio con i balconi che affacciano ad ovest, ai margini della zona industriale, come un onda provocata da una esplosione lontana che ha attraversato l’oceano, si è è schiantata sulle montagne, sollevandosi in un muro, per poi rovesciarsi e sommergere tutto, ritirandosi ci lascerà spogliati...e fragili
Mesi fa guardavo alla tv, degli impiegati. con le cravatte allentate, lasciare i grattacieli in cui lavoravano: reggevano in braccio degli scatoloni, ma accadeva in un altro continente. Qui di grattacieli non ce ne sono.
Non ci pensi davvero, fin che non ti succede.
Per me crisi non era che una parola ripetuta sui giornali, alla televisione, ora l’avverto tutta intorno: una vibrazione invisibile che scuote ogni oggetto nelle mie mani.
Ho rivisto Roberto sotto i portici, al centro, qualche giorno fa. Guardava la vetrina di un negozio di abbigliamento intimo: un manichino di donna, testa, braccia e gambe mutilate, ruotava intorno al proprio asse con indosso un completo di cotone bianco punteggiato di minuscoli fiori.
Stavo per chiamarlo, ma poi ho notato come abbassava lo sguardo, imbarazzato al sopraggiungere di altri passanti. Ha scosso la testa come a dire "no, no, non posso" e si è allontanato in direzione della piazza. Dopo qualche passo si è arrestato, di colpo, è tornato indietro di nuovo a fissare la vetrina. Io ho pensato: "Entra, su dai entra a comprarlo". Perché in quel momento mi è sembrato importante che lo facesse, indispensabile addirittura, per lui e per me. E mi è sembrato insensato e ridicolo che un uomo di 48 anni non potesse permettersi un regalo così per la donna che ama, in un paese in cui gli alberi sono piantati a distanza regolare ai margini delle strade, e i cellulari ricevono il segnale dentro le gallerie e sotto terra.
Roberto ha scrollato le spalle, nervoso ed esitante. Poi è entrato nel negozio.
Stasera, dal letto, sento la televisione accesa nel soggiorno del mio vicino, i bassi resistono allo spessore dei muri e ogni tanto distinguo gli applausi come scoppiettii scintillanti. Immagino Roberto, sul divano, che abbraccia la moglie, insinua una mano sotto la sua maglietta e al tatto riconosce il completo nuovo che le ha regalato. Si sorridono, complici, ma non possono dire nulla, perché i bambini sono ancora svegli, vogliono guardare Sanremo. Roberto non si sente malato, adesso, il presente è spostato più in la, di qualche ora. L’inverno si ferma fuori dalla finestra e la neve già inizia a sciogliersi.
Caro Festival, è il momento che suoni una canzone per lui, una romantica, tanto romantica da farlo imbarazzare, tanto sensuale da sfinirlo di desiderio, tanto da stordirlo e permettergli di dimenticare….
almeno per stasera, suonala, adesso,

tuo
Paolo Giordano

4 commenti:

  1. Come avevo già scritto in un precedente commento, non mi sembrava allora e non mi sembra ancora adesso,avendo la possibilità di leggerla
    ("ringrazio Grazia per l'eccellente lavoro")che fosse Sanremo " con quello sperpero di denaro pubblico (vedi i compensi milionari di Bonolis di Benigni e chi più ne ha più ne metta)
    il luogo giusto per una lettura tale.
    Anche se condivido le preoccupazzioni denunciate in questo testo, ho alcuni appunti da fare: ci meravigliamo ora di questa crisi, eravamo convinti di abitare nel paese di Bengodi
    che, come scriveva il Boccaccio nel suo Decameron, (precisamente nella III novella dell’ottavo giorno), descrive appunto il meraviglioso paese di Bengodi.
    "Ove le viti eran legate da ghiotte e grasse salsicce e dove, con pochi danari, si poteva comprare un’oca o un papero da cucinare e poi gustare. Nel paese di Bengodi vi era anche un'enorme collina di parmigiano grattugiato, sulla quale tanti cuochi cucinavano senza sosta alcuna, paste e maccaroni, cotte poi in brodo di cappone e poi "gettate" al popolo sempre "armato" da atavica fame !"
    Se uno giocava in borsa in tre mesi guadagnava più che in due anni di lavoro. per prenotare le vacanze, se non ci si muoveva in tempo, si rischiava di non trovare posto;
    non parliamo dei ristoranti: per taluni ci volevano mesi di prenotazione; una macchina - "automobile" non bastava : c'è ne voleva una per il lavoro, una per la moglie, una per il weekend.
    Vedevo certi colleghi arrivare al lavoro con delle auto che nemmeno il pricipale aveva
    Eravamo diventati tutti ricchi: si facevano finanziamenti per andare in vacanza, si finanziava ogni cosa, l'importante era non farsi mancare nulla.
    Sono anni che predicavo che cosi non si poteva andare avanti "mi sembrava di essere Cassandra"; forse noi, nati "quasi" subito dopo la guerra, abbiamo passato la nostra gioventù piena di stenti e priva di piaceri, e ci sembrava impossibile un sogno, una realtà cosi , difatti è crollato tutto.
    Qualche commento sul temino. Il racconto mi lascia un tantino perplesso: leggo che il protagonista sa cambiare le piastrelle rotte; chi ha provato sa che è un lavoro per nulla facile,
    fatto da un rappresentate poi .... "mah"....
    Quarantotto anni, regalare lingerie alla moglie... "ri mah"...chi azzecca i gusti e la moda delle donne ? quello che piace a me non piace mai a lei, "alla moglie"; io so che, se ci sono preoccupazzioni, la libido cala; poi fare sentire la televisione al vicino che dorme è la peggiore forma di maleducazione che possa esistere.
    Ma fatemi il piacere, direbbe Totò
    Dulcis in fundo, e qui già chiedo venia a a Grazia, la pala sapete dove gliela avrei messa?

    RispondiElimina
  2. @Maurizio
    grazie per i complimenti, devo dire che trascrivere un testo preparato da un autore come Paolo Giordano è più semplice che scrivere da zero su un foglio bianco...
    L'immagine del paese del Bengodi rende bene l'idea di spreco, anche se dobbiamo ammettere che negli anni passati abbiamo partecipato tutti all'abbuffata.
    Qualcuno che ha vissuto esperienze come la guerra o le privazioni, può essere "immunizzato", per noi sono esperienze lontane, nel tempo o - se attuali - nello spazio.
    Posso dire come ho interpretato le "piastrelle rotte", un'attività alternativa che serve per sentirsi in qualche modo utili, quando sembra di non esserlo più: una situazione che vivono coloro che perdono il lavoro, quelli non lo trovano, altri che terminano un'attività e si avviano alla pensione.
    Mi ha fatto pensare il paragone tra l'oggettiva difficoltà di molte persone a fare cose semplici - l'acquisto di un completino intimo - con il panorama che ci circonda - il segnale dentro le gallerie e sotto terra.

    Ma siamo in Occidente, questi sono i nostri temi...trattati durante un Festival della Canzone.
    ciao

    RispondiElimina
  3. Io la trovo molto bella questa lettera.

    RispondiElimina
  4. @Carol
    e io trovo molto bello il tuo commento
    ciao

    RispondiElimina