giovedì 28 gennaio 2010

Tre parole per l'educazione: tradurre, interpretare, capire.

Quante volte accade che uno scambio di idee si trasformi in spunto di riflessione! Arrivano da un'interessante e-mail le parole che introducono un argomento di grande attualità: l'educazione.

«Per quanto riguarda me, come insegnante, non chiedo altro al mio mestiere che i "miei" ragazzi capiscano che quanto cerco di far leggere ha a che fare con la vita, è stimolo di riflessione, è qualcosa che ciascuno di noi prima o poi potrebbe pensare o provare, ma che qualcun altro ha saputo tradurre in parole, per aiutarci a interpretare il mondo e capire noi stessi».

Tradurre, interpretare, capire. Tre parole che rappresentano un cammino condiviso tra più persone - l'autore, l'interprete, il destinatario - rivelando il processo di mediazione tra il messaggio e chi lo riceve.


In un mondo che vive di comunicazione, notizie e informazione, non bisogna dimenticare che, specialmente per i giovani, tra i primi "mediatori" vi sono gli insegnanti. I giornali, la televisione, la Rete e quanto di nuovo la tecnologia propone, dovrebbero arrivare dopo la ricerca del giusto approccio alla "verità". Ciò è possibile cogliendo gli stimoli di riflessione suggeriti dagli "insegnanti-maestri" che rischiano nell'educare ad interpretare la realtà.

«Per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelto nella vita. Ma, ad un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l'istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui deriva l'italiano «problema»). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo». (Don Luigi Giussani "Il rischio educativo")

(Un ringraziamento all'autrice della mail che ha consentito di pubblicare il suo pensiero come tema del post di oggi)

Vedi anche: Tre regole: equilibrio, semplicità, chiarezza.

12 commenti:

  1. Credo che al giorno d'oggi fare l'insegnante sia uno dei compiti più difficili e delicati che ci siano, perchè i ragazzi sono "distratti" da troppe cose ed è veramente difficile catturare la loro attenzione e farli appassionare a qualcosa.
    In fondo quando andavamo a scuola noi non c'erano poi molte cose oltre allo studio: poca tv, niente pc e niente internet, niente playstation...Però si leggeva, e molto.

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  2. Credo che la sfida attuale per chi insegna (parlo della scuola dell'obbligo), sia quello di aiutare l'alunno a discernere. In fondo è sempre stato così, ma adesso il rischio di essere travolti, oppure di essere indotti a ritrarsi, di fronte ad una mole di informazioni in espansione, è reale. Ascolto con un certo disagio quanti affermano che i ragazzi devono imparare un mestiere; o in alternativa, devono assimilare le competenze che servono alle nostre industrie per competere. Giusto, per carità: ma possedere i giusti strumenti per distinguere (una notizia da una bufala), per imparare e poi impegnarsi nel mondo, non mi pare in contraddizione con la competitività. O meglio: lo diventa quando quest'ultima si basa non su innovazione, curiosità, voglia di cambiare. Ma difesa dello status quo. Chi la pensa così non ama forse che le persone facciano domande: un consumatore compra. Una persona riflette, e poi magari NON compra.
    Forse sono un po' fuori tema, e pure prolisso, me ne scuso ;-)

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  3. Il segreto dell'educare altro non è che lo "scontro/incontro" fra conoscenza e esperienza.
    Quando l'insegnante,il maestro, il genitore riesce nell'intento???
    Quando ha le capacità di mettere al servizio della conoscenza tecnica del giovane (generalmente superiore) la propria esperienza, le proprie vittorie e le proprie sconfitte (generalmente superiori).......... purtroppo nella maggior parte dei casi il giovane si sente più capace (cosa mi può insegnare questo idiota??) e il docente più esperto (che cosa posso insegnare a questo idiota??), ma il tema è bellissimo e affascinante perchè è proprio da questo "scontro/incontro" che nascerà il nuovo mondo... scusate se ho terribilmente semplificato il tema ma credo che il nocciolo sia questo

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  4. Annamaria

    Sì, credo anch'io che l'insegnamento sia un compito difficile ed ho sempre pensato che non riguardasse la semplice trasmissione di nozioni ed informazioni. Inoltre il nostro mondo impone a chi educa ed insegna di confrontarsi con grandi cambiamenti, perchè la tecnologia non solo ha mutato il mezzo, sta mutando le persone.

    Mi è sembrato di percepire un lieve rimpianto nel tuo "però si leggeva", mi sbaglio?
    (la lettura richiede tempo mentre adesso tutto avviene in presa diretta di immagini, video, televisione)

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  5. Quando si parla di "educazione", la prima cosa che mi viene in mente, quello che io ritengo il punto cruciale di ciò, è il rapporto studenti-insegnanti...

    Leggendo questo post mi è venuto da pensare a quando frequentavo le scuole superiori, per esempio. All’epoca avevo un’insegnante di matematica che era indubbiamente estremamente competente nella sua materia, persino gli altri insegnanti di questa disciplina andavano a chiedere consiglio a lei! Eppure, nonostante tutta la sua conoscenza, era una persona fredda e rigida, che considerava più importante seguire il programma ministeriale che non ascoltare le reali difficoltà degli studenti, che diceva “buongiorno” quando entrava in aula, “arrivederci” quando usciva, e questo era il massimo del rapporto sociale che avevamo con lei. Io l’ho sempre vista come un robot. Posso dire di aver imparato la matematica, ma non mi ha mai dato qualcosa. Non c’era passione nel suo insegnamento, perciò non poteva trasmetterci amore per la disciplina. La professoressa di chimica, invece, è stata una delle insegnanti migliori che io abbia mai avuto. Competente ma modesta, disponibile, capace di coinvolgere ed appassionare. Amava la sua materia ed amava insegnarla, e riusciva a trasmettere questo suo amore con semplicità ed efficacia. Ci diceva di darle del “tu”, ma l’ho rispettata più dei tanti altri insegnanti a cui ho dato un “lei” privo di significato sottostante.

    Penso che il rapporto studenti-insegnanti abbia un importanza per lo meno pari all’insegnamento stesso. Le materie che “restano” non sono semplicemente quelle spiegate ad hoc, ma quelle interiorizzate. Perché ci sono anche insegnanti che “restano”. E penso anche che, soprattutto a livello universitario, questa integrazione sia importante, funzionale perché direzionata a proiettarci nel mondo del lavoro. Tuttora ho a che fare con molti professori indubbiamente competenti, ma distanti, portatori di un insegnamento intransitivo che sembra essere destinato a rimanere solo entro i ristretti confini dello specifico esame. Dicono che ci porteranno a diretto contatto con i pazienti a partire dal 4° anno. Credo che questa sarebbe la prima cosa che dovrebbe essere fatta. Per poter crescere come medici ma anche e soprattutto come persone. Per poter capire cos’è che siamo chiamati veramente a fare. Per rendersi conto che studiare la sofferenza è tutt’altra cosa che provare la sofferenza.

    Sono consapevole dell’enorme bagaglio di conoscenze indubbiamente necessario per svolgere una professione, conoscenze che attraverso l'insegnamento e l'educazione gli insegnanti devono trasmettere, ma penso che a volte una parola umana, un gesto, o anche solo un sorriso, valgano più di mille paroloni imparati a memoria.

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  6. Sì, Marco, è necessario aiutare a discernere; non è cosa semplice, perché il rinnovamento della società avverrà solo attraverso il diverso approccio al mondo che le nuove generazioni sapranno adottare. Quindi, discernere è importante, è un atteggiamento attivo che sceglie chi sta imparando.
    In contrapposizione, ciò che definisci “il ritrarsi” è un atteggiamento passivo, difficile da scoprire e da contrastare, insinuante e comodo anche per le persone che stanno intorno a giovani, per lo più distratte da attività, interessi.
    Oggi più di ieri è difficile imparare un mestiere, una volta ad un giovane intagliatore era sufficiente una buona conoscenza dell’attività che doveva svolgere e un bravo Maestro che gli insegnasse i segreti del mestiere, così si diceva. Ora questo non accade più, le attività mutano con le innovazioni tecnologiche, perciò – immagino - occorrono nuovi maestri, che insegnino forse ad usare i nuovi strumenti.

    Grazie delle idee che hai portato in questo angolo sperduto della blogosfera

    Grazia

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  7. "Oggi più di ieri è difficile imparare un mestiere, una volta ad un giovane intagliatore era sufficiente una buona conoscenza dell’attività che doveva svolgere e un bravo Maestro che gli insegnasse i segreti del mestiere, così si diceva. Ora questo non accade più"


    Oggi non accade più perchè sono cambiate le condizioni,
    la difficoltà di insegnare un lavoro ai giovani è dovuta buona parte alla loro arroganza e in buona parte ai genitori che li viziano.
    Dice bene Luciano "il giovane si sente più capace (cosa mi può insegnare questo idiota??)"
    I giovani ora hanno altri scopi, per noi il lavoro era la cosa principale ruotava tutto intorno a lui
    per i giovani il lavoro è una cosa secondaria.
    Nella mia esperienza lavorativa ho tentato di insegnare a molti giovani e devo dire che purtroppo solo una minima parte ha tratto profitto dai miei insegnamenti, se va tutto bene trà un paio di anni sarò in pensione e lascierò con gioia il compito a qualcun'altro.

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  8. @Luciano
    insegnante/maestro/genitore, hai giustamente inserito nel contesto i genitori, i quali in prima persona e per alcuni anni da soli, svolgono il compito di insegnare ed educare; e lo fanno aiutati dalla loro storia, dalle loro esperienze e dal loro amore. Una miscela che non sempre ottiene i risultati migliori perchè, come ha scritto Maurizio, i genitori, spinti dall’amore e dal desiderio di dare loro qualcosa di più, spesso viziano i loro figli. Credo che – prima o dopo - l’incontro/scontro fra diverse generazioni avvenga sempre e che la sfida sia di riuscire a determinare la nascita – appunto – del nuovo.
    Va considerato che il tema *educazione* è qui affrontato in modo teorico, con lo strumento della parola: nella realtà è un lungo cammino, anno dopo anno, giorno dopo giorno, ora dopo ora, da percorrere tra mille difficoltà quotidiane.
    (Mi viene in mente un sentiero di montagna, in salita, ognuno all’inizio del percorso con una diversa preparazione e, là avanti, molto lontano, una meta che possiamo solo intravedere.)

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  9. ...per aiutarci a interpretare il mondo e capire noi stessi...

    Ciò che è sintetico graffia il cervello e ci fa' meditare.

    E' doveroso porre un elogio e un grazie a Lei, prof.ssa, e agli insegnanti-maestri che con coraggio educano alla scienza unita all'umanità.

    Scrive Vernon: "l'esperienza è una insegnante severa, perchè prima ti fa' fare l'esame, poi ti spiega la lezione".
    Fino a quando ci saranno insegnanti-maestri che donano "stimolo di riflessione" nella ricerca della verità-realtà...noi potremo affrontare l'"esame" con più consapevolezza.
    Il cammino dell'educazione inizia già alla nascita e, in un mondo che si evolve continuamente, deve proseguire incessantemente.
    Io faccio parte della terza età, ma con entusiasmo e instancabilmente sento la necessità di essere educata (pur con altri criteri) e ringrazio gli "insegnanti" (non sempre maestri) che con tanta professionalità svolgono la loro "missione".
    Ringrazio pheqof che ha condiviso con questa grande famiglia il Suo pensiero.
    signora "G" (il nome che pheqof mi ha dato)
    Non amo l'anonimato: Enrica

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  10. @Veggie
    certo, la capacità di comunicare è un dono non comune e, se chi insegna la coniuga con la conoscenza, senz'altro ne è avvantaggiato. A dire il vero il vantaggio è di chi apprende perchè è più semplice avvicinarsi ad un problema o un tema specifico accettando l'aiuto di qualcuno.

    Nei miei ricordi - frequentavo allora un corso serale di grafica e fotografia - è ancora viva l'immagine di un professore: non più giovane, con un sorriso aperto e cordiale, durante le sue lezioni si metteva in mezzo a noi e con noi disegnava e colorava, non su lavagne o dietro una cattedra. Ci stava vicino e lavorava sui nostri schizzi e disegni, li migliorava e il suo tratto deciso trasformava come per incanto i nostri lavori; per me era una sorpresa guardare qualcosa di comune diventare speciale, perchè la sua dote la spendeva su quelli che erano i nostri "compiti". Ci insegnava così, tratto dopo tratto, la sua conoscenza e comunicava in modo diretto con noi. (Questa parentesi di ricordi personali solo per conferma a quanto hai scritto.)

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  11. @Maurizio
    le condizioni cambiano, i temi si ripropongono.

    E quando tu parli dell' "arroganza" dei giovani ben definisci un atteggiamento di chi approccia qualcosa di nuovo con pensieri nuovi, metodi nuovi, modi di vedere nuovi.

    Un atteggiamento forse irritante per chi è abituato a affrontare una situazione con metodo, un metodo magari sperimentato.
    Irritante per chi ha trovato il modo migliore, nel tempo minore, con i risultati migliori.
    E che a sua volta è un poco arrogante. Naturalmente non mi riferisco alle tue esperienze con i giovani.

    Prendo il problema alla lontana, guardandolo dall'alto, mettendo anche me stessa fra coloro che vorrebbero insegnare ai giovani come fare bene, anzi fare meglio.
    Il nostro meglio.
    Mi metto fra coloro che guardano i ragazzi muovere passi in un mondo che lascia loro poco spazio e mi piacerebbe poterli immaginare liberi di provare, di imparare, anche di commettere errori, i loro errori, dai quali nascerà la loro esperienza.

    Voglio immaginare che non è compito nostro insegnare loro le cose giusta che devono fare, ma il modo giusto per fare le cose, perchè fra vent'anni saranno loro a trasmetterlo ai loro figli.

    Non sono convinta quando dici "che purtroppo solo una minima parte ha tratto profitto dai miei insegnamenti", non darlo per scontato. Può anche accadere di non riuscire a vedere subito i risultati, non è questo l'obiettivo. Se a distanza di tempo una tua parola e un tuo consiglio, verranno ricordati da qualcuno che li collocherà concretamente nella sua esperienza, non li avrai dati inutilmente.

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  12. ANSA) - ROMA, 9 FEB - A Roma, un uomo di 70 anni, separato dalla moglie, e' stato condannato a mantenere il figlio di 36 anni con un assegno di 225 euro mensili. L'uomo di 36 anni ha sostenuto che non esiste nessun limite legale di eta' per il mantenimento, soprattutto se non e' riuscito a trovare lavoro: argomentazioni accolte dal giudice.

    Una sentenza, quella di Roma, simile a quella di Bergamo che obbliga un padre a continuare a dare l'assegno di mantenimento al figlio ultratrentenne.

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